La consegna dell'imbarcazione non comporta l'automatica stipula di un contratto di deposito

n un giudizio recentemente deciso dalla Corte d’Appello di Trieste, lo Studio aveva assunto la difesa di una società per azioni proprietaria di una vasta area portuale sita in una località turistica della regione e di un piazzale destinato alla sosta “a secco” di imbarcazioni e natanti.

Argomento
Casi dello studio
Data pubblicazione
28/01/2013

La società era stata convenuta avanti il Tribunale di Pordenone dalla proprietaria di un’imbarcazione che sosteneva di aver subito il furto di gran parte delle attrezzature della barca proprio nel periodo in cui la stessa era stata lasciata in sosta sul piazzale della cliente dello Studio. Adducendo che la consegna dell’imbarcazione aveva comportato la stipula di un contratto di deposito e l’assunzione, da parte della società, dell’obbligo di custodire l’imbarcazione stessa e tutto il suo contenuto, l’armatrice aveva chiesto al Tribunale la condanna della depositaria al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Pordenone aveva respinto la domanda ritenendo che quello tacitamente stipulato tra le parti non fosse un contratto di deposito, ma una locazione atipica di spazio aperto. Con ciò escludendo che la società si fosse mai assunta l’onere di custodire i beni dell’armatrice. Che, alla fine, era stata condannata a rifondere le spese di lite alla società ingiustamente convenuta.

Non soddisfatta del giudizio del Tribunale, la donna aveva impugnato la sentenza avanti la Corte d’Appello di Trieste adducendo, tra l’altro, che il primo giudice aveva errato nel qualificare il contratto che aveva legato le parti.

Con la recentissima sentenza n. 53/2013, la Corte d‘Appello di Trieste ha rigettato l’impugnazione condannando l’armatrice a rifondere alla società convenuta anche le spese del giudizio d’appello.

Seguendo le difese proposte dall’avvocato Andrea Cudini, la Corte ha chiaramente evidenziato le ragioni di diritto che consentono di sancire l’infondatezza della domanda risarcitoria.

Innanzitutto, ha osservato la Corte, il fatto che la proprietaria armatrice non abbia personalmente portato l’imbarcazione all’interno della struttura della società convenuta, ma che, invece, vi abbia provveduto altro soggetto cui la stessa proprietaria l’aveva affidata per la vendita, non è circostanza che la esime dal rispetto del contratto abitualmente proposto dalla società convenuta alla propria clientela e delle relative clausole, contratto che poteva dunque dirsi accettato sia a seguito del pagamento di somme per la sosta da parte dell’armatrice – proprietaria sia, soprattutto, del mancato ritiro della barca, rimasta in sosta per lungo tempo

.Si era verificata, a dire della Corte, una traditio rei potendo quest’ultima ricorrere non solo nel caso di materiale apprensione del bene, ma anche in quello di “bene già nella sfera di disponibilità altrui”.

Ma, quel che è più importante, la Corte ha affermato che la dazione non aveva automaticamente fatto sorgere un deposito, occorrendo per la ricorrenza di tale diversa fattispecie contrattuale che la consegna fosse avvenuta “allo scopo specifico della custodia”, essendo quest’ultima causa del contratto l’origine delle conseguenti obbligazioni a carico del depositario. La prova della causa, naturalmente, sarebbe spettata alla proprietaria. E la mera consegna ed il pagamento eseguito per la sosta non sono stati ritenuti tali, sicché non di contratto di deposito si era trattato, ma di mera “locazione di area”. Che è quel che da sempre la difesa della società aveva sostenuto.

Difettando altresì la necessaria prova dell’effettiva esistenza dei beni che l’attrice aveva sostenuto le fossero stati rubati, la Corte ha argomentato ritenendo ulteriormente infondata la sua pretesa risarcitoria.

Per questo la società assistita dallo Studio Cudini è stata mandata assolta da ogni responsabilità, non avendo assunto obblighi di custodia nei confronti della cliente che ha subito pure la condanna alla rifusione delle spese del giudizio d’appello.