Violazione della determinazione provinciale in materia di rifiuti: il Tribunale di Udine chiarisce i limiti della condotta penalmente rilevante

Il Tribunale di Udine si è recentemente pronunciato, con la sentenza numero 1628 del 2013, in materia di raccolta e recupero di rifiuti, con particolare riferimento al reato previsto dal comma 4 dell’art.256 del d.lgs. 152/06 (Testo unico dell’Ambiente) che punisce l’inosservanza delle prescrizioni del provvedimento autorizzativo alla raccolta dei rifiuti.

Argomento
Casi dello studio
Data pubblicazione
6/03/2014

Il reato in esame era stato contestato al legale rappresentante di un’azienda attiva nel settore della raccolta dei rottami ferrosi, il quale, assistito dall’avvocato Lorenzo Cudini, aveva proposto opposizione al decreto penale di condanna del GIP del Tribunale di Udine.

Nella sentenza di assoluzione dell’imputato si possono cogliere alcuni interessanti spunti per comprendere quando, nella gestione di un impianto di raccolta di rifiuti, sia legittimo contestare il mancato rispetto del provvedimento autorizzativo (che, nel caso di specie, era una determinazione della Provincia di Udine).

Il Tribunale ha, innanzitutto, escluso la rilevanza penale della commercializzazione di profilati in acciaio usati perché, non essendo questi ultimi identificabili come rifiuto, possono essere oggetto di attività estranee all’ambito autorizzativo della determinazione provinciale, la quale, nel caso di specie, vietava lo svolgimento di attività diverse da quelle autorizzate.

L’accusa aveva, inoltre, contestato lo “sforamento” dei limiti imposti dalla determina sia per quantità, sia per qualità dei rifiuti presenti nell’impianto, stando ai codici CER autorizzati. Il Tribunale ha evidenziato che, con riferimento alla natura del rifiuto, la prova della sussistenza del reato (e, a monte, quella della violazione delle determina) presuppone l’assoluta certezza in ordine all’identificazione del rifiuto asseritamente “non autorizzato” sulla base del codice CER in entrata nell’impianto, sicchè, per esempio, poteva essere considerato legittimo stoccare materiale plastico se lo stesso era “entrato” nell’impianto come imballaggio misto. Quel materiale, una volta selezionato, poteva poi essere identificato come rifiuto prodotto e non conferito. Per quanto riguarda il quantitativo, nella sentenza si sottolinea che è indispensabile fornire una prova certa dello sforamento mediante misurazioni e non con mere valutazioni “a stima”.

Si contestava infine all’imputato la mancata trasmissione alla Provincia del certificato di collaudo relativo alle opere di adeguamento eseguite sull’impianto a seguito dell’ultimo provvedimento autorizzativo. Nella sentenza è stato precisato, aderendo in tal modo alla tesi difensiva, che non erano previsti termini e modalità per la presentazione del documento e pertanto, seppur all’autorità competente detto certificato non risultasse pervenuto, l’esibizione dello stesso al momento della verifica poteva essere ritenuta sufficiente a far escludere la violazione contestata.

Il Tribunale ha, in definitiva, sposato la tesi della difesa dell’imputato, il quale è stato assolto perché il fatto non sussiste.